Il giorno dell’economia al Congresso dell’imperatore Xi Jinping (con un colpo di scena degli ultimi minuti) e il giorno dei droni kamikaze nella bersagliata Kiev. Oggi cominciamo con queste due tesserine il nostro parzialissimo mosaico del mondo: la Nato che comincia le sue esercitazioni nucleari (senza bombe) in Belgio, Joe Biden che torna a parlare della politica in Italia, Lula che dà del «dittatore piccolo piccolo» a Bolsonaro nel primo confronto tv in vista del secondo turno delle presidenziali in Brasile, i marchi cinesi che «invadono» il mercato delle auto elettriche in Europa, il passo indietro della famiglia Gandhi in India, gli integralisti musulmani alleati degli integralisti cristiani nella città di Detroit, la partenza (con tre italiani) del campionato di basket Nba, l’autobiografia di Bono... In fondo, trovate anche l’incredibile storia di un detenuto americano che è riuscito a rubare una barca di soldi a un noto riccone, e con quei soldi si è comprato pure una villa da 4 milioni di dollari. Tutto dal carcere, con un cellulare. Buona lettura! La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.
Colpo di scena a Pechino che rivela le difficoltà dell’economia: il Bureau statistico ha deciso di ritardare la pubblicazione del risultato del Pil nel terzo trimestre, prevista per domani. «Posticipato», c’è scritto sul sito dell’ufficio, senza spiegazione. Evidentemente il Partito ha pensato bene di non turbare i lavori del XX Congresso comunista con numeri sgradevoli. «Il trend di ripresa è notevole», aveva affermato poco prima Zhao Chenxin, vicedirettore della Commissione nazionale di sviluppo e riforma. Il secondo trimestre si era chiuso a +0,4%, il risultato peggiore da quando nel 1990 Pechino ha cominciato a diffondere i dati sul Prodotto interno lordo: solo nel primo trimestre del 2020, con il Paese completamente fermo per la pandemia, c’era stata una contrazione a -6,8%. Subito dopo era partita una ripresa spettacolare.
Nel discorso di ieri Xi ha avvertito che si profilano «pericolose tempeste», ma non ha segnalato alcun cambiamento per quanto riguarda i due principali fattori di rischio che stanno frenando di nuovo la crescita. 1) Ha elogiato «la guerra totale del popolo contro il Covid-19» (tralasciando di dire che molte manifestazioni di frustrazione e insofferenza si sono svolte per i lockdown continui nelle grandi città). 2) Ha promesso di nuovo «prosperità condivisa» alle masse, impegno giustificato dalla forte diseguaglianza sociale: ma la sua ricetta al momento si è basata sul ristabilimento del controllo statale sulla produzione. Nel discorso di ieri non ha citato il problema del crollo del mercato immobiliare, che rappresentava oltre il 20% del Pil. Xi ha indicato ai cinesi «frugalità» e «sviluppo di alta qualità» e modernizzazione per coprire il calo della crescita. Ha esaltato il settore tecnologico come «prima forza guida». Però, proprio la stretta del suo Partito-Stato sull’industria tecnologica ha bruciato 1.000 miliardi di dollari di valore di mercato delle imprese cinesi, da Alibaba a Tencent . E ora dovrà fare i conti anche con il piano di Joe Biden per tagliare fuori la Cina dalle forniture di semiconduttori sviluppati in Occidente. Al momento, in questo settore chiave, Pechino è indietro di anni. Per rallentare lo sviluppo (anche militare) della Cina nel campo dei microchip, Washington ha imposto nuove restrizioni nell’export che comprendono anche l’attività di dirigenti americani che lavorano per l’industria tech cinese. Secondo un’analisi del Wall Street Journal , almeno 43 senior executives impiegati in 16 società cinesi che sviluppano semiconduttori hanno nazionalità americana e dovrebbero lasciare i loro incarichi. Ecco perché Xi da una parte minaccia di riprendere Taiwan con tutti i mezzi e dall’altra invoca una «comunità mondiale del destino condiviso». Ecco perché oggi il compagno vicedirettore Zhao Chenxin ha ripetuto che la globalizzazione è un fenomeno irreversibile e nessuno può chiudere le porte. La Cina «è profondamente integrata con l’economia mondiale» e dice no a quei Paesi che vogliono costruire un «piccolo cortile dalle alte mura» per la separazione delle economie. Decodificato: Xi promette di tenere aperta la Cina (o meglio, di riaprirla parzialmente quando avrà deciso che il Covid Zero è irraggiungibile anche con i lockdown). Ma punta ancora ad imporre le regole del gioco.
Attaccare le città . Bombardare le centrali elettriche, la rete idrica, ponti e strade. Rendere la vita delle persone un vero inferno. Questa è la strategia di Sergei Surovikin , il generale russo noto come il «macellaio di Aleppo», che adesso Putin ha messo a comandare la guerra in Ucraina. Il bombardamento di oggi su Kiev non è nulla di nuovo: costituisce il proseguimento di logiche imposte sin dall’inizio dell’invasione. Ricorre ai droni iraniani per il fatto che gli arsenali russi si stanno assottigliando . I droni costano poco e sono efficienti, se ne possono sparare tanti in una volta sola e così superano facilmente le difese ucraine.
Nelle prossime settimane diventerà ancora più diffuso questo tipo di attacco. Ma soprattutto occorre attendersi di peggio. Surovikin in Siria dal 2012 al 2015 impose la politica della terra bruciata sui nuclei urbani del nemico. Venivano presi di mira metodicamente cliniche e ospedali . Chi si rivoltava al regime di Bashar Assad, alleato di Mosca, doveva sapere che non avrebbe avuto assistenza sanitaria, la sua vita sarebbe diventata più primitiva, ridotta alla sopravvivenza dei più fortunati. Questa guerra vigliacca è destinata a continuare, anche perché gli ucraini certamente risponderanno, lo stanno già facendo contro Belgorod: amplieranno la loro reazione. «Come mai Putin può colpire Kiev e noi non possiamo fare altrettanto su Mosca?», osservava il ministro degli Esteri ucraino Kuleba durante una nostra intervista in maggio. Oggi questa stessa domanda potrebbe ottenere un’attiva risposta muscolare da parte dei comandi militari del suo Paese.
«Non so se resterò ancora , devo decidere cosa fare, la situazione nella centrale di Zaporizhzhia è sempre più complicata». Al telefono la voce di Boris (il nome è di fantasia per proteggere la sua identità) è tranquilla. Ma questo ingegnere rischia parecchio per parlare con noi . Tanti dei suoi colleghi sono stati rapiti, minacciati e anche torturati dai russi che hanno preso il controllo della centrale. «Per fortuna non mi è mai successo niente ma so di tanti che sono stati chiamati nella zona degli interrogatori che si trova nell’ex quartiere generale dei servizi ucraini. Sequestrano i telefoni, cercano documenti, informazioni sui dipendenti, per questo hanno rapito il capo delle risorse umane, per avere accesso a tutti i fascicoli». A marzo l’impianto è passato sotto il controllo delle truppe di Mosca, diventando la prima centrale nucleare mai occupata in tempo di guerra.
Il personale ucraino ha continuato a gestire la struttura , che viene però periodicamente bombardata tra le accuse reciproche di Russia e Ucraina e gli allarmi dell’Onu sull’eventualità di una dispersione di materiale radioattivo, in caso venissero colpiti gli impianti di stoccaggio. Secondo Boris, i russi hanno creato una nuova società, la Zaporizhzhyaoblenergo, per controllare la centrale – espropriata di fatto con decreto da Putin il 5 ottobre – e ora cercano di riassumere i dipendenti ucraini con nuovi contratti per poterli controllare. «Ma quasi nessuno accetta di firmare tanto più che se firmi ti danno il passaporto russo». Chiediamo a Boris se i russi sappiano quello che fanno e siano in grado di gestire la centrale. «Ti risponderò con una battuta. Nessuno si può fidare di qualcuno che vive dentro un cartone animato. E loro sono così». Da inizio agosto i droni ucraini hanno iniziato a colpire la città di Enerdoha dove si trova la centrale, «i russi vivono quasi sempre dentro i rifugi, racconta ancora Boris. «E spesso bombardano la città, lo sappiamo perché sentiamo i colpi partire e pochissimi secondi dopo cadere a terra, sono provocazioni dei russi». I raid sono stati sospesi in concomitanza dell’arrivo di Rafael Grossi, direttore generale dell’Iaea a Zaporizhia. «Hanno smesso subito e hanno ricominciato appena lui è partito». L’Iaea riuscirà a stabilizzare la situazione?, chiediamo a Boris. «Io non credo che riusciranno ad essere incisivi, ma è difficile per me dirlo. Quasi nessuno di noi interagisce con loro e non sappiamo nemmeno dove stiano quando sono qui in città ».
L’Unione europea perfeziona oggi il programma per addestrare migliaia di soldati ucraini sul proprio territorio. Piano che si aggiunge a quello condotto dalla Gran Bretagna insieme con una mezza dozzina di altri Paesi. Intanto la Francia ne ha annunciato uno tutto suo, destinato a formare 2 mila militari. Sempre l’UE varerà un pacchetto d’aiuti per 500 milioni di dollari. Nota: si va sempre in ordine sparso.
Jens Stoltenberg, 63 anni, dal 2014 Segretario Generale Nato
La Nato è pronta per le manovre Steadfast Noon 2022 . Si svolgeranno in Belgio e nel quadrante nord europeo, con la partecipazione di b. Dagli Usa sono arrivati anche i bombardieri strategici B52. A fine mese saranno invece i russi a tenere le esercitazioni Grom dedicate al «campo» nucleare. Sono eventi annuali, programmati da lungo tempo, che tuttavia acquistano maggiore significato perché si sovrappongono al conflitto in Ucraina. Le intelligence sono in guardia. E a proposito di spionaggio... Un uomo, con cittadinanza russa e israeliana , è stato fermato dalla polizia in Norvegia (regione artica). Aveva un paio di droni e materiale fotografico. Lui ha affermato di essere un reporter amatoriale ma gli inquirenti vogliono capire meglio ed escludere che possa essere altro. Visti i tempi…Anche perché non è l’unico episodio a destare interesse: negli ultimi giorni sono stati segnalati droni nella zona dell’impianto per il gas di Kaarstoe, nella parte sud.
Nel giro di pochi giorni Joe Biden ha dato uno scossone ai rapporti bilaterali con quattro Paesi : stretti alleati, partner, interlocutori difficili, ma necessari. Innanzitutto è tornato a dirsi preoccupato «per quello che è accaduto in Italia e in Spagna», riferendosi alla vittoria elettorale di Giorgia Meloni . Per la Spagna non sappiamo; forse il presidente americano intendeva dire Svezia , dove qualche settimana fa il centro destra ha vinto le elezioni, con il boom della formazione estremista «Democratici svedesi». Ieri, domenica 16 ottobre, il Consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha fatto sapere che Biden non incontrerà il principe ereditario saudita Bin Salman .
Dopo che l’Opec + ha tagliato la produzione di petrolio , il presidente Usa vuole «rivedere i rapporti» con Riad. L’organizzazione dei Paesi produttori ha fatto notare che la decisione, definita «tecnica», era stata presa «all’unanimità». Come dire: gli Usa si preparano a «punire» anche alleati strategici come il Qatar, il Kuwait o gli Emirati Arabi ? Nello stesso tempo Biden ha classificato il Pakistan come «uno degli Stati più pericolosi del mondo», sollevando le proteste di un Paese con il quale le relazioni non sono mai state semplici. Completa la lista la «delusione» per l’incontro del leader palestinese Abu Mazen con Vladimir Putin , qualche giorno fa ad Astana, in Turchia. Abu Mazen, dopo due anni di sostanziale latitanza degli americani sul negoziato israelo-palestinese, si è lanciato in un elogio della Russia, facendo infuriare la Casa Bianca . Forse sarà l’effetto della campagna elettorale per il midterm . Tuttavia era dai tempi di Donald Trump che dalla Casa Bianca non partiva un’ondata di critiche così ampia.
A tre settimane dal voto di midterm , i democratici Usa nuotano controcorrente nel tentativo, che probabilmente fallirà, di mantenere il controllo del Congresso. La corrente che li trascina è quella dell’alta inflazione che erode i redditi dei cittadini e costringe la Federal Reserve ad aumentare il costo del denaro con la conseguenza di aprire le porte a una recessione che farà perdere posti di lavoro e ha già aumentato di molto il costo dei mutui : si allarga la schiera degli americani per i quali quello della casa di proprietà è un sogno irraggiungibile.
Proteste a Dearborn, sobborgo di Detroit, contro i «libri sporchi»
La sinistra spera di recuperare sul fronte delle culture wars , a partire da quella dell’aborto negato (nella sentenza della Corte Suprema e nelle leggi di molti Stati conservatori) che fa infuriare gran parte delle donne. Ma deve stare attenta a quello che avviene in molte famiglie, non sempre conservatrici, preoccupate per come nelle scuole si parla di razzismo e omosessualità. I repubblicani sono stati abili nel diffondere la narrativa (in gran parte costruita a tavolino) di insegnanti liberal che suggestionano ragazzini ancora immaturi criminalizzando i bianchi per il razzismo, diffondendo a piene mani storie di gay e trans, inneggiando alla fluidità sessuale. Alimentato dai conservatori evangelici , il movimento che chiede una sorta di «rogo dei libri», la messa al bando di centinaia di volumi che trattano di questi temi e che sono disponibili nelle biblioteche scolastiche, ha preso quota ovunque in America. L’anno scorso, la vittoria del repubblicano Glenn Youngkin che ha strappato a sorpresa ai democratici la poltrona di governatore della Virginia proprio partendo dalle scuole, è stato un primo segnale d’allarme. Il secondo sta arrivando in questi giorni dal Michigan dove a protestare con più veemenza per come si parla nelle scuole soprattutto di sesso non sono gli evangelici ma i genitori di una comunità detestata dagli integralisti cristiani: i musulmani . Nei giorni scorsi a Dearborn, il sobborgo di Detroit dove ha sede la Ford Motor Company, mille genitori si sono riuniti per protestare e chiedere alle autorità della contea di censurare i libri sui temi LGBTQ+. In giorni di confronto teso, a volte anche violento, con la polizia che ha dovuto presidiare la piazza, i genitori hanno accusato i docenti liberal di indottrinare i loro figli, e definito i gay viscidi e pedofili. Sono prese di posizione estreme , inaccettabili che, respinte dai capi della comunità islamica, fanno comunque breccia in un gruppo etnico, gli arabo-americani, molto forte in tutto il Michigan e che a Dearborn rappresenta quasi metà (47%) dell’elettorato . Ora molti di loro si sono alleati con la destra conservatrice. Ai giornalisti che vanno a informarsi sulle loro motivazioni assicurano: «Non siamo fan di Trump: qui le elezioni non c’entrano». Ma se la campagna ideologica per la messa al bando dei libri su sessualità e razza che sta facendo proseliti in tutti gli Stati Uniti (da gennaio l’American Library Association ha ricevuto 1650 richieste di censura) arriva – e con tanta veemenza – in una contea nella quale due anni fa Joe Biden ha vinto col 74 per cento dei voti , la cosa non può non preoccupare il fronte progressista. Gioiscono i repubblicani: i leader del partito in Michigan sostengono che i democratici sono in difficoltà. E i loro candidati ne approfittano per coniare slogan estremi: per Kristina Karamo, che punta a diventare segretario di Stato, la sinistra «vuole piazzare una drag queen in ogni classe».
Il Salone dell’auto che si apre oggi a Parigi alla presenza del presidente Emmanuel Macron vede l’arrivo sul continente europeo dei marchi cinesi, che cercano di consolidare e sfruttare il loro vantaggio nelle auto elettriche. Al salone non ci saranno le case tedesche, tra gli americani solo il marchio Jeep , peraltro parte del gruppo franco-italo-americano Stellantis, e mancherà anche la francese Citroën .
Se un tempo le fabbriche cinesi servivano soprattutto per costruire auto progettate e poi commercializzate da altri in Europa o Stati Uniti, come Volvo o Tesla, quest’anno arrivano in Europa di brand cinesi come BYD, Great Wall Motors , Nio, Aiways o anche la vietnamita VinFast. L’Unione europea ha fissato l’obiettivo di 100 per cento di auto elettriche nel 2035 , ma il rischio è che ad avvantaggiarsi della trasformazione del parco macchine sia la Cina, che è anche il più grande produttore al mondo di batterie elettriche . In un’intervista a Les Echos , Macron promette che la Francia recupererà il ritardo già accumulato e che la svolta elettrica servirà per il rilancio industriale dell’Europa.
«Lula smettila di mentire, fa male a un uomo della tua età» , sbotta Jair Bolsonaro , 67 anni. «Sei il bugiardo più spudorato che esista… un piccolo piccolo dittatore », ribatte Lula, 76 anni. Questo è il livello del primo faccia a faccia in tv fra i due sfidanti al ballottaggio presidenziale in Brasile, tra meno di due settimane: si sono scambiati reciproche accuse di falsità – senza però mai alzare la voce , come molti temevano — e poco o nulla hanno spiegato dei rispettivi programmi, peraltro molto vaghi sul fronte economico. L’attuale presidente di ultra-destra è tornato a denunciare l’avversario di essere un «corrotto», Lula ha ricordato i 680.000 morti di COVID-19, «la metà evitabili».
I sondaggi danno favorito il leader del Partito dei lavoratori , con il 49% delle intenzioni di voti contro il 44% del candidato del Partito liberale, ma il risultato è tutt’altro che scontato. Già al primo turno, i sondaggi si sono rivelati molto imprecisi. La campagna elettorale ha assunto i toni di una guerra di religione . Benché il Brasile sia costituzionalmente uno Stato laico, il voto dei fedeli è determinante. Gli evangelici – il 31% della popolazione (dati 2020) — sono schierati in maggioranza per Bolsonaro . Lula, in vantaggio fra i cattolici , continua ad inseguire questo importante flusso di voti. Il blocco dei deputati evangelici — oggi 65 al Congresso — ha sempre svolto un ruolo importante nella politica brasiliana. In passato ha sostenuto Lula e Dilma Rousseff, ma dal 2014 ha iniziato a criticare il PT fino a quando, per le presidenziali del 2018, leader di spicco come il pastore Silas Malafaia, della chiesa dell’Assemblea di Dio Vittoria in Cristo, ed Edir Macedo, della Chiesa universale del Regno di Dio, hanno appoggiato Bolsonaro, in nome dei valori più conservatori sulla famiglia, come il «no» all’aborto e al matrimonio gay. I temi etici tengono banco anche in questa campagna. Bolsonaro accusa Lula di aver favorito l’aborto , ma è finito nei guai per un video diventato virale sui social in cui fa apprezzamenti molto poco signorili nei confronti di alcune rifugiate venezuelane di 14-15 anni . La presidente del PT, Gleisi Hoffman, lo ha accusato di essere un «depravato». Bolsonaro si è difeso, assicurando di «avere sempre combattuto la pedofilia».
(Sara Gandolfi) Il #Metoo fa pulizia anche nel mondo dell’hockey . L’amministratore delegato e l’intero consiglio di amministrazione di Hockey Canada, società statale che gestisce lo sport nazionale per eccellenza nel Paese americano, si sono dimessi in seguito a uno scandalo sul modo in cui hanno affrontato le denunce di aggressione sessuale . Lo scandalo parte da lontano e ha spinto un colosso come la Nike a ritirare, settimana scorsa, la sua sponsorship all’hockey canadese.
Nell’aprile scorso una donna di 24 anni ha presentato una denuncia sostenendo di essere stata vittima di aggressione sessuale da parte di otto giocatori , inclusi alcuni membri della squadra nazionale juniores, durante un gala nel 2018. La vicenda si è conclusa con un accordo extragiudiziale. In seguito, Hockey Canada ha ammesso di aver affrontato da una a due accuse di aggressione sessuale all’anno negli ultimi sei anni e di aver pagato 8,9 milioni di dollari canadesi in 21 accordi extragiudiziali. La stampa ha rivelato che per tale scopo aveva creato un fondo segreto composto da quote associative pagate da giovani giocatori in tutto il Canada . Alcune denunce risalgono addirittura al 1989. All’inizio del mese il premier Justin Trudeau aveva dichiarato che i canadesi «hanno perso la fiducia» nei vertici di Hockey Canada, invitandoli a dimettersi. Ma in discussione ormai è tutta una cultura dell’omertà diffusa nel mondo dello sport, forse non soltanto in Canada.
È il passo indietro della storica dinastia politica dell’India. Per la prima volta in quasi un quarto di secolo il partito del Congresso elegge oggi un presidente che non è un Nehru-Gandhi . La famiglia non ha voluto entrare nella corsa alla leadership per offrire alla formazione, ormai da anni all’opposizione, l’opportunità di risollevarsi dopo le ripetute batoste elettorali che l’hanno ridotta ai minimi termini. Tenta così di rilanciarsi in vista delle politiche del 2024 il partito più longevo dell’India — ha 136 anni — che ha dominato la politica per decenni dopo aver portato il Paese all’indipendenza da Londra nel 1947.
Non erano bastate a invertire la rotta le dimissioni, nel 2019, dell’ultimo rampollo, Rahul Gandhi, allevato da Sonia come futuro leader del partito del Congresso perché raccogliesse l’eredità della nonna Indira e del bisnonno Nehru, fondatore dell’India moderna. L’incarico era ritornato pro-tempore alla madre, che però pochi mesi fa, dopo la bruciante sconfitta nelle elezioni per le assemblee legislative di cinque stati, aveva presentato le dimissioni, rifiutate dal partito. Ora i tempi sembrano maturi per una svolta. A contendersi il ruolo di guida sono da un lato l’ex diplomatico delle Nazioni Unite Shashi Tharoor , 66 anni, più volte ministro prima dell’arrivo di Narendra Modi al governo nel 2014; dall’altro Mallikarjun Kharge, 80 anni, che la stampa indiana considera il preferito della famiglia Gandhi nonché il favorito. L’anziano politico ha già messo le mani avanti: ha assicurato di non agire per procura di Sonia Gandhi. Un punto decisivo questo, considerato che uno dei motivi d’attacco ricorrenti da parte del partito nazionalista indù al potere è stato bollare il Congresso come partito dinastico. «Chiunque sarà eletto non sarà controllato da remoto» ha assicurato lo stesso Rahul Gandhi. Che anche oggi, mentre i 9 mila delegati di partito sono alle urne, guida la «marcia dell’unità della patria”: a piedi per 5 mesi , accompagnato da centinaia di sostenitori, a macinare chilometri (3.570!), dal Sud dell’india, in Tamil Nadu — dove suo padre, l’ex primo ministro Rajiv Gandhi, venne ucciso in un attentato nel 1991 —, fino al Nord, in Kashmir. Con un messaggio chiaro: «Siamo il partito che può unire il Paese e fermare il processo di divisione interna basato su religione, casta e lingua che viene promossa dal partito al governo». Niente cariche, ma sul campo i Gandhi non mollano.
Martedì 18 ottobre, quando in Italia saranno già le prime ore di mercoledì 19, prende il via la stagione numero 76 della Nba . Comincia così la caccia ai Golden State Warriors , tornati sul trono del basket professionistico dopo due annate deludenti e la finale persa nel 2019 contro Toronto. I campioni in carica sono reduci da una grana che potenzialmente potrebbe avere ripercussioni nel tempo (il cazzotto dato in allenamento dal turbolento Draymond Green a Jordan Poole), ma non è messo meglio chi viene indicato come il principale contendente.
Simone Fontecchio, abruzzese, giocherà in Nba
I Boston Celtics , sconfitti dai Warriors nella corsa al titolo 2022, hanno sospeso per l’intera stagione – preludio di un probabile licenziamento — l’head coach Ime Udoka, coinvolto in una relazione con una dipendente giudicata impropria rispetto alle regole del club. Ma al di là di questo – detto per inciso che l’Italia tifa per Simone Fontecchio («deb» a Utah a quasi 27 anni di età); spera che Danilo Gallinari , finito proprio a Boston, possa guarire entro i playoff dall’infortunio patito in Nazionale; e infine si augura che il «paisà Paolo Banchero , futuro azzurro, onori a Orlando il ruolo di prima scelta assoluta del draft 2022 – occhi puntati sulla possibilità che LeBron James superi il record di punti di Kareem Abdul Jabbar . È un primato che pareva inavvicinabile e che invece potrebbe/dovrebbe cadere entro pochi mesi. Già oggi, al via della sua ventesima stagione (le stesse disputate da Jabbar, ritiratosi a 42 anni), LeBron James è l’unico giocatore a essere nella «top 10» per punti e assist collezionati nella stagione regolare (può diventare «top 5» quest’anno) è il primo ai playoff per punti, canestri, tiri liberi segnati, recuperi e partite disputate. Ma ora ha nel mirino il 75enne fuoriclasse degli anni 60, 70 e 80, al quale adesso è accomunato dai colori giallo-viola dei Lakers, ma con cui non c’è tanta sintonia. Jabbar è a quota 38.387 . Il numero da battere è quello e — occorre ribadirlo — si riferisce ai punti segnati soltanto in regular season, come accade sempre per i record Nba. Se si vuole sommare anche quelli messi a segno nei playoff, infatti, LBJ è già il numero 1 di sempre, avendo superato proprio Kareem prima della metà di febbraio 2022. Il Prescelto riparte da 37.062 punti. Ammesso che giochi tutte le 82 partite (quasi impossibile: infortuni a parte, nelle ultime stagioni si è fermato qua e là per rifiatare, avviandosi ai 38 anni), per prendersi il primato gli basterà tenere una media di 16.2 punti , di gran lunga la più bassa della sua carriera, lui che non è mai sceso sotto i 20.9. Più realistico, allora, ipotizzare una soluzione «media» che considera lo storico dei punti realizzati in ogni serata: è pari a 27.1; in questo caso il primato cadrebbe allora dopo 49 incontri. Non resta che aspettare e avviare il conto alla rovescia.
(Guido Olimpio ) Difficile crederlo, eppure è la verità. Un detenuto americano , grazie ad un cellulare ottenuto di nascosto e con l’aiuto di complici all’esterno della prigione, ha messo a segno un grande colpo .
Usando la falsa identità di un miliardario ha ottenuto che una banca gli versasse 11 milioni di dollari. Con parte del denaro ha acquistato migliaia di monete d’oro. Ha ingaggiato una compagnia di sicurezza perché trasferisse il tesoro a bordo di un aereo privato . Ha acquistato una villa da 4 milioni di dollari ad Atlanta. Il genio del crimine si chiama Arthur Lee Cofield, ha 31 anni e ne doveva scontare 14 per rapina in un carcere della zona di Atlanta.
La paura di un attentato (contro la moglie), i piani per rapire le figlie , gli incontri con politici e leader religiosi e «quel» taglio di capelli. Nel corso del festival letterario di Cheltenham, Bono ha presentato l’autobiografia «Surrender, 40 songs, One story» (che in Gran Bretagna esce tra pochi giorni) parlando anche della paura che ha avuto quale irlandese contrario a ogni forma di milizia armata.
Bono nel 1985 al Live Aid
Secondo il leader di Sinn Fein Gerry Adams (ex militante dell’Ira) le sue parole ai tempi costarono all’organizzazione il supporto finanziario di una grossa fetta di americani. Bono venne quindi informato dalla polizia di piani malavitosi contro lui e la sua famiglia che non andarono mai in porto. Nel volume il leader degli U2 racconta dei contatti con papa Giovanni Paolo II – che provò i suoi occhiali da sole – e di quella volta che Gorbaciov andò a trovarlo e disse di aver capito che l’Unione sovietica era finita in seguito all’incidente di Chernobyl. Il cantante parla inoltre dei suoi ricordi d’infanzia, dell’impegno umanitario e del look scelto per il concerto di Live Aid nel 1985: «L’unica cosa che vedo è il mio taglio di capelli», un mullet divenuto celebre.
Grazie. A domani. Cuntrastamu. Michele Farina