La voce de La Stampa
In edicola con La Stampa per «Piemonte in noir» in volume di Lucio e Giada Figini
Maia fugge da casa per trovare il killer che ha ucciso l’amica. E Ulisse si mette sulle tracce di Maia. Ulisse e Maia, padre e figlia, sono i protagonisti del romanzo «Il dono di Maia», in edicola con La Stampa, per la collana Piemonte in noir.
Gli autori sono Lucio Figini e Giada Figini. Lucio è scrittore, formatore ed educatore professionale, e lavora in ambito psichiatrico da 25 anni. Pubblica dal 2001. Dodici i suoi romanzi, in particolare noir e thriller. Tra le sue passioni: la lettura, l’orologeria, il pianoforte, il cinema. Giada Figini è studentessa presso la seconda classe del Liceo Classico «S. Grattoni» di Voghera. Tra le sue passioni: la musica, scrivere, leggere, il mare della baia del Silenzio. «Il dono di Maia», di cui pubblichiamo un estratto, è la sua opera prima. —
Devo uscire da qui. Subito. Devo uscire dalle viscere di questa terra. Devo respirare. A costo di buttare giù la porta a spallate. Mi asciugo le lacrime perché non le voglio, non sono una bambina, belin, ho una missione da portare a termine. Eppure è trascorsa solo una manciata di minuti prima che senta la mia stessa voce urlare nelle mie orecchie: «Aprite! Voglio uscire! Aprite, cazzo!»
Mi avvicino alla porta, sferro due pugni, inutili, poi spingo quella maledetta porta con tutta la forza che l’adrenalina mi dà, ma nulla. Devo scassinarla, ma prima prendo il telefono, metto la sim, magari vicino all’uscita prende. Ed ecco la tacca che mi serve, scrivo un messaggio a mio padre, il primo che mi viene in mente.
«Santuario del Sacro Cuore di Gesù, tour dei sotterranei che parte dalla cripta, sono rimasta chiusa dentro, mi spiace, papà, aiutami».
E proprio mentre sto pensando a come forzare la serratura, percepisco qualcosa alle mie spalle. Mi giro di scatto. Due ombre, più nere del nero, con le fattezze di mostri, sono immobili di fronte a me, hanno in mano una torcia che mi puntano in faccia. Devono aver sentito il rumore che ho fatto.
«Che minchia ci fa qui?» la voce è sgradevole. La domanda non è rivolta a me, ma all’ombra d’uomo di fianco.
Non riesco a vedere in faccia chi ha parlato, ma solo la sagoma, grossa. Mi sento un oggetto, e non è piacevole. Parlano di me come se non ci fossi, e il fatto di non vederli in faccia, ma di essere osservata sotto il fascio della loro luce, peggiora la sensazione.
L’altro è più basso, sono due ombre parlanti.
«Ragazzina, ti sei persa?» è l’altro a rispondere, con una voce più sinuosa.
Punto la mia torcia verso quegli uomini. Sono vestiti bene, giacca e pantalone dello stesso colore, scuro, per quel che posso intuire, il più grosso ha i capelli corti, rasati, occhi piccoli e naso imponente, l’altro ha gli occhiali ed è sottile, quasi scheletrico, secco.
Quest’ultimo scatta verso di me e mi strappa la torcia con una velocità che non mi aspetto.
Poi indietreggiano, bloccandomi la via. Iniziano a parlare tra loro, io non ho risposto, semplicemente perché il loro incontro ha peggiorato l’attacco di panico che stavo vivendo, ma sembra che questo gli abbia fatto pensare che non avessi capito bene le loro parole.
Cerco di capirci qualcosa dai loro discorsi, sono indecisi sul da farsi, mi hanno scambiato per un’extracomunitaria o una disperata in fuga per qualche motivo. In effetti, non hanno tutti i torti.
«E adesso che minchia facciamo?» sento mormorare.
Di risposta il secco tira fuori il cellulare e si allontana. Mi chiedo come faccia a prendere la linea, visto che il mio è vivo solo a pochi centimetri dalla porta di entrata.
Dopo una manciata di secondi torna.
«E allora?» incalza ancora il primo uomo.
«Dice che i regali non si rifiutano mai, soprattutto se così carini», e mi lancia uno sguardo viscido.
Balbetto qualcosa tra il «chi siete» e il «cosa volete», come se facessi uno sforzo pazzesco a trovare le parole in un italiano decente, e faccio quello che mi dice l’istinto. Non li tocco, non uso il mio dono per gettar loro addosso tutto il mio terrore, perché non servirebbe a nulla, non ho vie di fuga. Così mi tengo tutta l’angoscia da animale ferito e in trappola per tempi migliori.
«Vieni con noi, ragazzina», è il secco a parlare, «non preoccuparti, ti aiutiamo noi». —
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