Elisabetta II, Gorbaciov, Godard. E, ancora: Piero Angela, Eugenio Scalfari, Tito Stagno. De Mita e Del Vecchio. Monica Vitti, Sidney Poitier e Irene Papas. Il 2022 si è portato via gli ultimi protagonisti, gli ultimi narratori e gli ultimi simboli del 900.
Lo scorso febbraio nel villaggio di Villa Ulka, nell’estremo sud del Cile affacciato sull’Antartico, è morta a 91 anni Cristina Calderon. Era l’ultima custode vivente della lingua Yamana, che era appartenuta per secoli alla sua etnia, la popolazione Yagán, nativa di quelle terre inospitali e una delle comunità indigene legate a uno dei luoghi più remoti del Pianeta. «Con lei un’importante memoria del nostro popolo svanisce», ha detto la figlia. La scomparsa di Cristina Calderon non ha certo avuto la visibilità internazionale di altre morti eccellenti di questa prima parte del 2022, ma dimostra come una generazione di persone che ha vissuto quasi un secolo, lasciandoci, ha portato con sé una storia, una memoria e un patrimonio di saggezza e cultura. Quest’anno è stato scandito dalla scomparsa di tante figure che hanno concluso una vita lunga e ricchissima. Se l’addio è inevitabile, la sensazione è che comunque ognuna di queste perdite ci faccia sentire un po’ più soli. Sicuramente un po’ più poveri.
Con la morte di Mikhail Gorbaciov e della Regina Elisabetta sono scomparse, a distanza di pochi giorni, due figure cardine della storia del XX secolo. Il tribunale degli opinionisti si è già diviso su un giudizio morale su di loro. Gorbaciov secondo alcuni fu solo l’ultimo tiranno di un regime oppressivo che egli stesso cercò di salvare, soffocando con i carri armati i moti indipendentistici di Paesi come la Georgia e Lituania. Anche la Regina Elisabetta ha subito l’inevitabile processo mediatico argomentato come solo un tweet sa esserlo. «Per molti di noi nati nelle cosiddette “colonie” era il simbolo di un impero costruito su genocidio, schiavitù, violenza e brutalità. Non è stata però solo il simbolo, ma anche la complice», ha sentenziato Anna Arabindan-Kesson, una docente del dipartimento di studi afro-americani a Princeton. Non saranno per fortuna i post sui social a giudicare chi ha fatto, nel bene e nel male, la storia. Grazie a Putin abbiamo iniziato a rimpiangere le aperture di Gorbaciov e il suo dialogo diplomatico verso il disarmo. La regina colonialista Elisabetta sarà stata anche forse complice dell’imperialismo britannico, ma è stato il sovrano (costituzionale) che ha gestito parte della dissoluzione dell’impero.
La memoria di chi c’era serve anche a ricostruire la storia così come è accaduta e non come ci piace rievocarla e un pezzo di memoria si è smarrito con la morte avvenuta lo scorso maggio di un altro grande vecchio, lo scrittore Boris Pahor. Nato nel 1913 a Trieste come sloveno suddito di Francesco Giuseppe, ha seguito tutte le vicissitudini più tragiche della minoranza sloveno-italiana. Fu infatti coscritto nel 1940 nell’esercito fascista e inviato in Libia. Dopo l’8 settembre divenne partigiano, fu in seguito arrestato e internato nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof dove concepì e iniziò a scrivere il suo capolavoro Necropoli, uscito nel 1967. «Ho cominciato a scrivere perché non volevo dimenticare», disse. Un altro custode della memoria e delle parole come lo scrittore Gianni Celati, morto lo scorso gennaio a 84 anni, ci ha lascito un’importante lezione: «Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo». Celati è stato non solo un punto di riferimento per la narrativa italiana degli ultimi 50 anni, ma anche traduttore e documentarista.
L’Italia ha anche perso, il 27 giugno scorso, un’incarnazione dell’”Italian dream” come Leonardo del Vecchio. Presidente e fondatore di Luxottica, era nato nel 1935 a Milano. Era rimasto orfano di padre ancora prima della nascita, dovendo affrontare un’infanzia di privazioni e povertà. La sua storia imprenditoriale è il racconto di un percorso unico e forse irripetibile che lo portò da garzone a uno degli uomini più ricchi d’Italia, capo di un impero industriale e finanziario. Tutto partì da una bottega di montature per occhiali fondata alla fine degli Anni 50. Un altro protagonista della storia d’Italia come Ciriaco De Mita è mancato il 26 maggio all’età di 94 anni. Esponente storico della sinistra della Democrazia Cristiana, venne eletto per la prima volta in Parlamento nel 1963. Diventerà Presidente del Consiglio nel 1988, ricoprendo più volte l’incarico di ministro e entrando, per il suo lavoro nell’ambito delle riforme, nel mirino delle Brigate Rosse che uccisero il suo consigliere, il senatore Roberto Ruffilli. Il suo impegno politico è durato fino alla fine: è morto da sindaco della sua Nusco, incarico che svolgeva da quando era stato eletto nel 2014 alla giovane età di 86 anni.
È stato il momento dell’addio anche per alcune voci importanti del giornalismo italiano che hanno plasmato la narrazione del nostro Paese. A febbraio è mancato Tito Stagno, l’uomo che ci portò sulla Luna con la sua diretta dello storico allunaggio il 20 luglio 1969. Ma fu anche l’inviato Rai al seguito di due Papi e diversi presidenti della Repubblica. Negli stessi anni in cui Stagno seguiva la conquista dello spazio, uno dei conduttori dei telegiornali era Piero Angela che nel 1968 tenne a battesimo il primo Tg delle 13 e 30, annunciando il disastroso terremoto del Belice. Angela, spentosi a 93 anni il 13 agosto, ha avuto un ruolo fondamentale, utilizzando la sua popolarità televisiva per preservare, anche in anni dell’audience a ogni costo, un’informazione giornalistica e scientifica basata sui fatti, sulla autorevolezza e sulla affidabilità della scienza. Nelle sue trasmissioni, mai urlate, non c’erano opinionisti raffazzonati che parlavano di salute o ricerca, né vigeva su certi temi la par-condicio tra evidenze scientifiche e ignoranza. Purtroppo la sua lezione è già andata smarrita nei talk show
Eugenio Scalfari. Morto lo scorso 14 luglio a 98 anni, fondando prima L’Espresso nel 1955 e poi, nel 1976, La Repubblica ha contribuito all’arricchimento del panorama giornalistico italiano in anni in cui la P2 aveva steso i suoi tentacoli sull’informazione. Si è spenta anche a 91 anni la voce ironica e indimenticabile di Gianni Clerici, giornalista noto soprattutto per le sue cronache sul tennis. Il suo stile puntuale, irriverente, sempre incisivo, meravigliò anche i giornalisti internazionali. La sua morale da non dimenticare è riassunta nel modo in cui spiegava il suo approccio al lavoro: «Non sono un reporter, i setter riportano. Sono un giornalista e narro quello che altrimenti non avreste modo di sapere».
Nel 2022 il cinema ha perso una generazione di autori e interpreti che hanno creato nuovi linguaggi espressivi e sfidato pregiudizi e convenzioni. Con Jean-Luc Godard, morto il 13 settembre a Rolle in Svizzera, scompare a 91 anni uno dei padri della Nouvelle Vague. Innovatore del linguaggio cinematografico, sin dal suo debutto Fino all’ultimo respiro del 1961 ha impresso un segno marcatamente personale e autoriale all’approccio con l’opera cinematografica, diventando il maestro di riferimento di intere generazioni di aspiranti registi. Ma quest’anno ci hanno lasciato altri registi innovatori. Bob Rafelson, deceduto a 89 anni lo scorso luglio, era parte di un movimento di giovani cineasti che dalla fine degli Anni 60 creò le premesse per un cinema più realistico, potente e che parlava a una nuova generazione. Fu uno dei produttori di Easy Rider e diresse la torbida versione del 1981 de Il postino suona sempre due volte con Jack Nicholson. Peter Bogdanovich, scomparso a Los Angeles a 83 anni a gennaio, non solo ha firmato due classici degli Anni 70 come L’ultimo spettacolo e Paper Moon ma è stato anche un critico e grande custode della storia di Hollywood. Il tedesco Wolfgang Petersen, mancato il 12 agosto scorso, passò con disinvoltura dai kolossal europei come U -boot 96 del 1981 e La Storia Infinita del 1984 ai blockbuster di Hollywood come Air Force One, La tempesta perfetta e Troy.
A 90 anni si è spenta anche la stella di Monica Vitti. Ritiratasi dalle scene ormai dagli Anni 90, evitava da due decenni ogni visibilità. Il pubblico non l’ha mai dimenticata, né dimenticherà la sua presenza unica: fu musa del grande cinema d’autore di Antonioni, Monicelli e Scola, e la forza femminile della commedia all’italiana accanto a mostri sacri come Sordi, Gassman e Mastroianni. Un’altra attrice unica e orgogliosa è stata Marsha Hunt, morta lo scorso 7 settembre alla splendida età di 104 anni. Era una delle ultime interpreti viventi dell’età dell’oro di Hollywood. Recitò negli anni dal 1937 al 1951 in più di 50 film e accanto alle maggiori star dell’epoca (John Wayne, Lauren Bacall, Humphrey Bogart, Laurence Olivier, Danny Kaye). Ma è giusto ricordarla anche per essere stata vittima delle persecuzioni del maccartismo che ostacolarono la sua carriera, a cui reagì intensificando un’instancabile attività di impegno sociale speso su più fronti, dalla lotta alla povertà a quella contro il cambiamento climatico. Grande cinema e impegno sociale: quello che ha caratterizzato la vita di Sidney Poitier, primo afroamericano a vincere il Premio Oscar come miglior attore protagonista, morto a gennaio a 94 anni. La sua straordinaria carriera, che ha spalancato definitivamente le porte agli attori neri a Hollywood, è stata sempre accompagnata dall’attivismo per i diritti civili e la giustizia sociale.
È stato un riferimento per il movimento dei diritti civili americani anche il cestista Bill Russell che con Poitier era accanto a Martin Luther King durante la marcia di Washington del 1963. Russell, spentosi a 88 anni lo scorso 31 luglio, ha avuto una trionfale carriera tra i professionisti nella NBA iniziata nel 1956 quando i giocatori neri erano una minoranza e coronata da 11 titoli con i suoi Boston Celtics. Nel 1966 divenne allenatore-giocatore e fu il primo coach di colore di una squadra di basket professionistica. Tornando al cinema, l’ultima stella in ordine di tempo ad averci lasciato è Irene Papas. L’attrice greca, che si è spenta a 96 anni, divenne celebre per le sue interpretazioni in Zorba il greco e I cannoni di Navarone ma per il pubblico italiano sarà sempre il volto di Penelope nello sceneggiato L’Odissea trasmesso sulla Rai con la presentazione di Ungaretti.
Ognuna di queste grandi figure ha concluso una storia lunga, magari in alcuni casi controversa, ma immensamente significativa. Ognuno di loro custodiva, così come Cristina Calderon ultima detentrice della tradizione dei nativi Yagán, una propria voce. Unica e irripetibile.
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