Gregorio Paltrinieri, l'atleta assoluto

2022-10-12 20:34:49 By : Mr. minfeng chen

La cover story del numero 22 di Esquire Italia: «Cosa fa davvero la differenza? Quello che sei disposto a lasciare in vasca»

Capace di vincere in piscina così come in mare aperto (dove, in mezzo alla plastica, ha maturato una nuova consapevolezza green). Il frontman del nuoto italiano macina bracciate, chilometri e medaglie. Come un re Mida dello sport, ai Mondiali è riuscito a trasformare l’argento e il bronzo (e certe critiche) di Tokyo in oro. Ma quando arrivi a certi livelli, che cosa fa davvero la differenza? «Quello che sei disposto a lasciare in vasca»

Dentro o fuori. La vita anfibia di Gregorio Paltrinieri funziona così: si muove sempre tra due direzioni, due possibilità, l’acqua e la terra. Il confine è netto, non ci sono sfumature, contaminazioni, zone di risacca. Vale per lo sport e per tutto il resto, perché questa è anche l’essenza del campione, la guerra dei mondi che attiva il suo baricentro: o vinci o perdi. Lui per lo più vince e quando non ci riesce, fa quasi più rumore. Come ai Mondiali di Budapest, in giugno, cominciati con un quarto posto negli 800 stile libero e un fracasso di critiche, e finiti con due ori, un argento e un bronzo valsi il record italiano di medaglie mondiali. Ventisette anni, frontman del nuoto italiano, capace di reggere il palco così bene da far dimenticare l’uscita di scena di Federica Pellegrini, ha conquistato il titolo di atleta assoluto con un’impresa mai vista: uscire dalla vasca e nuotare in mare, gareggiare ovunque e vincere. L’ha fatto quest’estate, portando a casa dalle Olimpiadi un argento negli 800 e un bronzo nei 10 chilometri senza allenamento e con i postumi della mononucleosi addosso. E l’ha rifatto a giugno, trasformando le medaglie di Tokyo in oro. E anche agli Europei di Roma, in agosto, ha fatto incetta di medaglie: tre ori (negli 800 stile libero, nella 5 km in acque libere e nella staffetta 5 km) più l’argento nei 1.500 stile libero.

Ormai fa più notizia quando non vince.

Vero, anche se con il quarto tempo di Budapest negli 800, l’anno scorso ci avrei vinto le Olimpiadi. È stato un anno strano: nei mesi dopo Tokyo, ho sempre pensato di poter fare tanto ma i risultati non erano arrivati. La voglia di riscatto c’era: dopo quel quarto posto avevo altre quattro occasioni e ho cercato di dare il massimo.

È il nuotatore italiano più medagliato nella storia dei Mondiali. Ha superato anche Federica Pellegrini. È a caccia di record?

No. I numeri non sono mai la motivazione principale. Non ho mai tenuto il conto delle medaglie. Ho scoperto quante erano aprendo Instagram perché i giornali ne hanno scritto e qualcuno mi ha taggato. Certo, questo record mi riempie di soddisfazione perché sono dieci anni che vinco e ho realizzato il sogno di quando ho cominciato: essere un atleta che dura, non quello che vince un’Olimpiade o un Mondiale e poi sparisce.

La motivazione, allora, qual è?

Essere ogni volta il più forte. Ogni gara è fine a se stessa. Poi magari tutte le gare messe insieme fanno di me il più forte di sempre, ma quella è una conseguenza non l’obiettivo.

Il fattore tempo non la preoccupa?

Tante volte mi hanno dato per finito. Io mi sono sempre allenato con l’umiltà di rimettermi in gioco diventando ogni volta un nuotatore nuovo. Vincere per me non è mai una sorpresa.

Come ci è finito in vasca?

Senza neanche accorgermene: mio padre gestiva e cominciare a nuotare è stato quasi automatico. Anche se all’inizio preferivo il basket. Ho svoltato quando ho capito la voglia di competizione che avevo dentro. In acqua ero solo con me stesso: vincere dipendeva da me.

Papà ha avuto un ruolo nella genesi del campione?

Era stato un nuotatore anche lui, super appassionato. Non mi ha mai forzato, ma ci teneva, ne sapeva. Dopo ogni gara passavamo ore a parlare e questo mi ha dato una spinta in più. Mi ha portato su quella strada e mi ha aiutato a crescere.

No. Anzi: ha anche un po’ paura dell’acqua. Però era quella che mi portava in piscina.

Vita dura, quella dei piccoli atleti.

Due allenamenti al giorno, uno la mattina presto prima della scuola. Alle sei ero già in acqua, fino alle sette e mezza. Alle otto ero in classe: cinque ore di lezione poi pranzavo in macchina: la pasta, il parmigiano e la frutta, e alle due era di nuovo in piscina. Conciliare tutto era difficile ma era quello volevo.

Come si diventa i più forti?

Con la disciplina e la costanza: se faccio la stessa cosa tutti i giorni, dopo mille giorni la saprò fare meglio. Il talento non basta: quando arrivi a certi livelli, ce l’hanno tutti, ma vince solo uno e la differenza la fa quanto ti sei allenato, quanto hai saputo soffrire, non mollare, credere in te stesso. Vince chi ha lavorato meglio, fisicamente e mentalmente. Io salto un allenamento solo se ho 40 di febbre e ogni volta do il cento per cento. Ogni giorno era una sfida con me stesso. Ogni gara è il frutto di mesi, anni di lavoro.

Spesso mi dicono che da fuori sembro una macchina: centinaia di vasche al giorno, avanti e indietro, alla stessa velocità, aggiustando i dettagli come un ingegnere ritocca i parametri di una macchina di Formula 1. Poi però in gara il carburante è il cuore. Non è tutta matematica. Una finale olimpica è come una gabbia di leoni: ci si sbrana. E la differenza la fa quello che sei disposto a lasciare in vasca.

Che cosa pensa quando è ai blocchi di partenza di una finale olimpica?

È un momento carico di tensione: quelle gare dicono chi sei. Ma io non l’ho mai vissuta in termini assoluti: cerco di vivermi il momento e mi piace la competizione, essere lì e giocarmela.

Quanto vale un oro olimpico?

Tanto. Ma io mi sono sempre goduto più il viaggio e il sogno che la vittoria. Sono fatto così: quando tocco il muretto e capisco che sono il primo, mi viene sempre quel pensiero: e adesso?

Vinco una gara e già penso a che cosa devo fare per vincere la prossima. Ho questo spirito qui, non mi sono mai sentito realmente appagato. Neanche dopo un oro olimpico, neanche dopo tutte le vittorie di questi anni.

Le pesa mai essere quello da battere?

No. Perché con l’esperienza trovi la maturità di testa: magari fisicamente sei più in deficit di energie rispetto a quando avevi 20 anni ma sai leggere meglio la situazione. In una finale olimpica o mondiale ti sei già trovato tante volte e non ti spaventa più. Ho vinto un Mondiale anche a 18 anni, ma senza capire fino in fondo il perché. Durare è la vera impresa.

Imparando ad attraversare anche le avversità. Dimostrando di esserci e saper vincere anche quando non sei in forma stratosferica. Io ho cercato di non mollare mai.

Dove va la mente in quelle vasche che fa avanti e indietro ogni giorno per allenarsi?

Penso. Il nuoto è alienante. Se giochi in una squadra, parli con gli altri e con l’allenatore. Io passo almeno cinque ore al giorno con la testa sott’acqua senza sentire nessuno: sono costretto ad ascoltare me stesso. È una specie di terapia personale.

Una vita anfibia, quella di voi nuotatori.

Già. Non so che cosa si provi a camminare sulla Luna, senza gravità, ma credo che sia qualcosa di simile. Io entro in vasca e sento il mio corpo che si rilassa: solo lì mi lascio andare. In acqua trovo la pace che non ho sulla terra. Sento ogni centimetro del mio corpo. Se per strada sbatto contro qualcosa, neanche me ne accorgo. In acqua invece sento anche se metto il mignolo in una posizione diversa.

A parte il dialogo con se stesso, ha altri modi di allenare la mente?

Prima dei Giochi di Rio mi sono rivolto a un mental coach. Ho fatto lezioni di mindfulness e rilassamento, facevo training autogeno, ascoltavo il sangue scorrere nelle vene. Ma alla fine per me funziona meglio il dialogo con le persone vicine: i miei amici, il mio allenatore, la mia ragazza. Parlare mi ha aiutato a superare situazioni difficili.

La mononucleosi un mese prima delle Olimpiadi di Tokyo. Stavo nuotando e ho cominciato a sentire qualcosa che non andava. Non era la febbre, ma qualcosa di diverso. Ho detto al mio allenatore: non ho forze. Ho fatto le analisi del sangue e avevo il fegato ko. Un’Olimpiade ce l’hai ogni quattro anni, potrebbe essere l’ultima e ti succede una cosa così. Ho cercato di sopravvivere.

Mi hanno tenuto su le persone che avevo attorno. Fosse per me mi sarei scavato una fossa. I miei compagni di squadra facevano la processione in camera per consolarmi, intanto i giorni sono passati e mi sono avvicinato alla gara senza mai nuotare.

Alla fine, però a Tokyo c’è andato. E ha vinto due medaglie pazzesche.

Ho avuto l’ok dei medici tre giorni prima della partenza. Sono andato per onorare il lavoro che ho fatto in questi anni, senza aspettative come fosse stata una gara provinciale. Avevo ancora le analisi sballate, ma ho voluto provare. In gara però divento un toro. Mi sono qualificato in finale con l’ultimo tempo, con un decimo di vantaggio. Una volta in finale, mi sono giocato l’esperienza.

È vero che l’oro di Tamberi le ha dato la carica?

Sì. Siamo molto amici. Le nostre storie sono simili: il suo infortunio è stato più grave del mio perché a Rio non ha potuto partecipare. Ma festeggiare con lui l’oro, ritrovare quell’euforia che anche io avevo provato, mi ha dato lo stimolo per credere che dalle difficoltà si possa rinascere. Sono tornato con due medaglie impensabili: passi ancora l’argento negli 800, ma il bronzo nella 10 chilometri, una gara durissima, è davvero un’impresa incredibile. Ho capito che tutto l’allenamento conta, ma è la testa che ti definisce come atleta.

Quando gli altri atleti cominciano a dosare le energie, lei ha raddoppiato lo sforzo aggiungendo alle gare in vasca, quelle in acque libere. Perché?

Dopo l’oro di Rio avevo bisogno di stimoli nuovi. Avevo vinto Europei, Mondiali e Olimpiadi e sentivo di aver chiuso un cerchio. Ho iniziato a fare qualche garetta di fondo, piazzandomi malissimo. Però ho insistito e dopo un paio di anni sono arrivati i risultati. È un mondo ancora nuovo: mi trasmette un’eccitazione che motiva più della piscina.

La motiva così tanto che ha deciso di organizzare lei stesso delle gare di nuoto in acque libere. Ha fondato anche una società, Dominate the water.

L’idea è nata quando eravamo chiusi in casa per la pandemia. Come tutti, ho sentito il bisogno di fare sport outdoor, esattamente come chi corre o va in bici. Il nuoto in acque libere in Italia è uno sport ancora poco praticato ed è un peccato perché è molto più bello e stimolante di quello in piscina. Fatto in sicurezza è un’esperienza fantastica. Con un amico siamo partiti da qui per pensare a un circuito di gare per professionisti e amatori insieme su diverse distanze, dove io posso gareggiare con una persona che nuota due volte a settimana. Il tutto in un contesto di festa: vai in spiaggia con la famiglia, ti godi la giornata e nuoti con i professionisti. Abbiamo fatto una tappa a luglio a Lignano e ora, a settembre tre: Stintino, Taranto e Positano.

In che condizioni sono i nostri mari?

Critiche. Anche io che in acqua mi trovo a mio agio in tutte le situazioni, più di una volta ho pensato: io qui non ci vorrei stare. C’è una gara storica in Italia, la Capri-Napoli. L’anno scorso ero lì: c’era plastica ovunque. Per questo ho deciso, a margine delle gare che organizzo, di diffondere cultura ambientale. Ho coinvolto biologi marini per dare lezioni ai bambini perché solo l’educazione può invertire la rotta.

Ognuno deve fare la sua parte. Anche il mio sponsor, Arena, ha cominciato a produrre costumi con materiali riciclati ed eco-sostenibili. Non cambieremo il mondo ma possiamo migliorarlo.

Quando non nuota che cosa fa?

Viaggio tantissimo. Passo dai duemila metri per l’allenamento in altura, al mare. Mi godo i posti. Ho sempre la macchina fotografica dietro. Ultimamente sto scattando a rullino. Mi piacerebbe approfondire questa passione e farne qualcosa di più.

L’amore con Rossella Fiamingo quanta parte ha?

Grande. Ci conosciamo da anni e ci siamo ritrovati l’anno scorso a causa di uno sponsor. A Tokyo ci siamo legati molto.

Galeotto è stato lo sport?

Non direi. Facciamo cose simili ma non è la condivisione di una vita nello sport che mi ha fatto innamorare di Rossella. Non cercavo comprensione, cercavo una persona con cui stare bene e in lei l’ho trovata. Certo, ci troviamo a parlare delle nostre carriere, conosciamo il lavoro che c’è dietro e ci diamo una mano a vicenda. Ma dello sport parliamo pochissimo.

La distanza come si regge?

Dà fastidio. I ritiri ci stroncano e le gare anche, ma quando sono a Roma stiamo insieme perché lei si può allenare anche lì. E stare insieme è molto più figo.

Certo, anche se per ora viviamo alla giornata. Siamo ancora molto concentrati sui nostri obiettivi personali: sogni solo miei e sogni solo suoi. Per raggiungerli devi concentrarti su te stesso: scendere a compromessi non si può.

Da anni Livigno, e soprattutto il centro sportivo di Aquagranda per i nuotatori (dove sono state scattate le foto di questo servizio), è il quartier generale FIN per gli allenamenti in altura in vista degli appuntamenti più importanti della stagione. Inoltre, dall’inizio dell’estate Aquagranda è ufficialmente un Centro di Preparazione Olimpica riconosciuto dal CONI (è l’unico in altura).

Grooming, RODRIGO DE SOUZA @Blend. Executive Producer, RICCARDO BARONE @Squalo Produzioni. Production, LUCA VARRIALE @Squalo Produzioni.