Architettura, design, arte contemporanea e moda, ma anche una corrispondenza intima d'autore: 11 novità editoriali da acquistare in libreria oppure online
Se la domanda che ci risuona nella testa è cosa leggere a marzo, ecco una lista delle novità editoriali da scegliere in libreria oppure on line. Tra i libri a tema architettura spiccano tematiche diverse: dal gender gap, con una riflessione sulla figura professionale delle donne nel mondo dell’architettura, al progetto radicale e trasformativo per il futuro delle città, fino alle architetture e al pensiero del progettista, considerato il precursore dell'architettura green, che si racconta attraverso lo strumento 'magico' delle favole. O ancora, tra le nuove uscite si segnala la guida all'escape lungo la catena delle Alpi, alla scoperta delle strutture più particolari e sorprendenti, tra architetture alpine e d'antan o interior design moderni e contemporanei. I libri di marzo toccano anche l'ambito del design, con una monografia dedicata a uno studio multidisciplinare la cui pratica progettuale combina la cultura del design italiana e quella scandinava; un viaggio nel mondo del product design dagli anni '60 agli anni '80. A margine un interessante excursus sul paesaggio industriale del nostro Paese, rivelato attraverso i prodotti d'eccellenza e le storie di alcune fabbriche italiane, legate ai settori più eterogenei. Tra le letture consigliate di questo mese, ci sono un libro autobiografico che riunisce gli scritti di un noto gallerista, percorrendo cinquant'anni di attività, tra artisti, mostre, progetti e pensiero critico, e un coffee table book che celebra l'haute couture nelle creazioni di uno degli stilisti più talentuosi e acclamati, ma anche controversi, del mondo della moda. Infine tra le proposte editoriali di marzo, ricordiamo un omaggio a Pier Paolo Pasolini, nel centenario della sua nascita, grazie al libro di una grande scrittrice e amica del poeta, sceneggiatore, regista, scrittore e drammaturgo italiano, che, in forma di lettere al di fuori del tempo, ne ripercorre i ricordi e la memoria, le esperienze artistiche e cinematografiche, le idee e viaggi condivisi.
La prima monografia dedicata a Studio Nichetto. Cultura del design scandinava e italiana si combinano in ambito progettuale nella pratica dello studio multidisciplinare fondato da Luca Nichetto nel 2006, specializzato in tutte le discipline del design e oggi con sedi a Venezia e Stoccolma. Il volume edito da Phaidon è una ricerca completa sull'attività dello studio, nella quale sono approfonditi lo sviluppo dei progetti e dei prodotti, le collaborazioni in ambito professionale oltre ai processi produttivi industriali e artigianali che interessano ogni aspetto del lavoro dello studio. Nel racconto di questi ultimi vent'anni si inserisce anche un focus dedicato, in particolare, a dieci prodotti, indagati attraverso le stesse parole di Luca Nichetto, che includono le collaborazioni con nendo, Steinway & Sons, quelle con Ginori 1735 e Hermès. Il ritratto dello studio, per cui fare design significa “raccontare storie emozionali costruite su un vocabolario di materiali e animate da una grammatica della forma”, si delinea nelle pagine del libro anche grazie ad altri prodotti, caratterizzati da profondi riferimenti culturali e una forte attenzione ai dettagli: i vasi e le lampade in vetro di Murano che richiamano le radici veneziane di Luca Nichetto, sedie, tavoli, tappeti, sciarpe, occhiali da sole e altri oggetti ancora, che sottolineano la visione dello studio attenta ai bisogni delle persone. L'importanza del rapporto tra designer, fornitore, produttore e utente è approfondita attraverso le dodici interviste rivolte dagli autori a collaboratori chiave, artigiani, fornitori e imprenditori che collaborano con lo studio. Completano l'opera quattro interviste allo stesso Luca Nichetto, nel quale il designer sviluppa aspetti centrali della pratica progettuale, tra cui la sua eredità e background, il business del design, la sostenibilità e l'importanza di imparare dalla prossima generazione.
Quali sono le caratteristiche del paesaggio industriale del nostro Paese? Il volume di Corraini, a cura di Odo Fioravanti, Giulio Iacchetti e Francesca Picchi, compone un ritratto del sistema produttivo italiano, multiforme, ricco e vario proprio come lo è il nostro territorio, presentando una selezione eterogenea di fabbriche italiane, ciascuna con la propria storia. Sono realtà diverse, nella tipologia e per prodotti, create e sviluppate sulla base del saper fare artigianale, l'iniziativa imprenditoriale e la tradizione dei distretti del made in Italy. Created in Italy è un viaggio nei vari settori produttivi, dal tessile alla subacquea, dalla robotica al design che si compie attraverso la presentazione di vari prodotti, sintesi dell'eccellenza industriale italiana, legata alla ricerca e allo spirito d'inventiva, alle qualità tecniche e tecnologiche, alla sperimentazione continua, al raccogliere le sfide, come quelle della sicurezza e della sostenibilità, e alla capacità di sapersi mettere in gioco. Il libro include un testo di approfondimento di Enrico Morteo e una sezione con interviste e contributi che riguardano alcune delle realtà indagate, nel racconto in prima persona di chi si è ostinatamente e con passione dedicato a produrre nuovi prodotti o di chi ha saputo costruire la sua impresa investendo sulle proprie intuizioni. Le storie di fabbriche italiane riguardano: Abet Laminati, Alpi, Brembo, Coex, Crea, Cressi Sub, Dainese, Directa Plus, Eumakers, Falci, Fizik, Fontana Group, Foscarini, GAM, Gemar, Grivel, K-Array, Kong, Landucci, Limonta, Magis, Nonino, Novamont, Omnicos Group, Pedrali, Petroceramics, Plastitalia, Springa, Terre Davis, TTA Adler, Vibram.
“L’invenzione delle favole che ho scritto negli ultimi cinquant’anni è il fulcro del mio metodo di lavoro, non soltanto un accessorio letterario. Il sottotesto di una favola, dopotutto, è un rituale, ed è proprio a sostegno dei rituali che si sviluppa la maggior parte del mio lavoro”. La favola è lo strumento 'innovativo' con cui presenta i suoi progetti di architettura. Lui è Emilio Ambasz, pioniere dell’architettura green, quale precursore del rapporto tra edificio e verde, il progettista che fin dagli anni Settanta ha ricercato un’architettura “che si erge come l'incarnazione di un patto di riconciliazione tra natura e costruzione”. Portavoce di un pensiero innovativo attraverso il suo approccio all'architettura come landscape, cioè come paesaggio che plasma la terra per ospitare in modo confortevole l’uomo, l'architetto argentino ha fatto sue tematiche, oggi più che mai attuali, come la forestazione urbana, il riuso dell’esistente attraverso l’intervento di elementi naturali. A lui si devono progetti come l’Acros Building a Fukuoka, in Giappone, realizzato più di 25 anni fa, che restituisce alla comunità, in forma di giardini accessibili alle persone, il terreno occupato dall'edificio. E ancora Ambasz curò nel 1972 al Moma di New York la mostra di cui ricorre il cinquantenario “Italy: The New Domestic Landscape”, considerata una pietra miliare perché fece conoscere il design italiano nel mondo. Fulvio Irace ha riunito per la prima volta in questo volume le "favole di design" e gli scritti con cui Emilio Ambasz ha accompagnato i molti progetti della sua carriera. Attraverso gli 'occhi delle fiabe' si rivela il suo manifesto gentile, “green over gray ” mentre si scoprono le sue architetture più iconiche, insieme ai racconti di città amate o sognate e ai dialoghi con gli architetti e gli artisti, che con lui hanno stabilito una particolare affinità elettiva.
È un libro "eccessivo" che “va assunto a piccole dosi. Ci sono argomenti seri trattati con leggerezza e il contrario, come in un continuo flashback o una doccia scozzese”, così Massimo Minini, noto gallerista italiano scrive a proposito del volume autobiografico che riunisce molti dei suoi scritti, tra lettere, interviste e pensiero critico. La galleria, fondata da Minimi a Brescia nel 1973, ha visto passare grandi interpreti della scena artistica di questi ultimi quarant'anni, tra gli altri Alighieri Boetti, Luciano Fabro, Sol LeWitt, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft , Carla Accardi, Daniel Buren a Halley, Giulio Paolini a Dan Graham, Anish Kapoor o Ettore Sottsass. Nelle pagine del libro, le mostre e l'arte contemporanea, la galleria, gli artisti e gli incontri, che hanno costellato i quasi cinquant'anni di carriera, emergono, vividi e lucidi, tante tessere di un mosaico legate con ironia, lucidità, a volte con spirito caustico o dissacrante, spesso con visioni sorprendenti ma mai banali. “Sono riuscito a trovare quasi tutti i testi che volevo salvare dall’oblio e li ho messi in ordine (o in disordine?). Uno zibaldone minore in cui ho ficcato tutto e il contrario di tutto, nel disperato tentativo di far sopravvivere una seppur pallida memoria indiretta di alcuni avvenimenti della mia vita che possono avere incrociato destini più alti”, si legge nella postfazione. Dall'autointervista, ai pizzini-aforisma sugli artisti presentati ad Artissima e in altre manifestazioni fieristiche, ai pizzini sulla critica d'arte o ai lunghi interventi critici su Dan Graham, Testori, Kiefer, Feldmann, al capitolo dedicato all'architettura-architettori nel quale Minini scrive di Alessandro Mendini ed Ettore Sottsass, a quello su Giulio Paolini o ancora alla sezione dedicata agli amici, come Buren, Accardi, Kapoor, Luigi Ontani, solo per citarne alcuni. Ci sono anche testi più intimi e 'personali', come l'elenco-classifica dei pittori italiani del XX secolo, una riflessione sulla passione del gallerista per la fotografia, le lettere dal carcere ovvero gli scritti durante la pandemia e molto altro ancora. Una sorpresa fino alla fine. La copertina, disponibile in 4 colori, è disegnata da Daniel Buren.
Linee semplici e forme pulite, colori sgargianti e tanta plastica! Nei mitici anni '60, questi sono i tratti principali del design di prodotto, come ricorda la copertina del volume edito da gestalten, dedicato non solo agli appassionati del vintage design. È infatti la proposta di un viaggio affascinante all'interno del product design lungo un periodo memorabile, dagli anni '60 ai '70 e '80, tra oggetti e prodotti iconici che rispondevano ai comportamenti e ai diversi bisogni delle persone, segnando l'inizio di una nuova era. Dai macinacaffè ai set per la fonduta e agli asciugacapelli, ogni elettrodomestico era progettato nella sintesi di forma e funzione, per aiutare nella routine quotidiana della casa. Sulla base della collezione di oggetti rétro e giochi elettronici di Jaro Gielens, una delle più grandi al mondo, "Soft Electronics" esplora una selezione di piccoli elettrodomestici, i più significativi ed emblematici dal punto di vista progettuale, che hanno caratterizzato quegli anni così importanti nella storia dell'industrial design. Gli oggetti proposti, nell'esprimere un senso di longevità, qualità e innovazione, sottolineano anche come è cambiata la progettualità dei prodotti elettronici, oggi legata all'obsolescenza programmata, e il nostro rapporto con essi. (Dal 10 marzo).
Frutto della collaborazione di un architetto, Pablo Sendra, e di un sociologo, Richard Sennett , il libro si interroga su quale tipo “di Dna urbano, permetta a un luogo di crescere”, con l'intento di dimostrare come progettare il futuro delle città. Interventi di urbanistica commerciale, trasformazioni dello spazio pubblico in ottica di sorveglianza e sicurezza, città sempre più frammentate dalla sovradeterminazione delle funzioni e dalla segregazione degli spazi, forme costruttive rigide e dettate da un’industria immobiliare globalizzata stanno soffocando le città moderne. Gli ambienti urbani non flessibili reprimono la libertà d’azione delle persone, ostacolano le relazioni sociali informali, la diversità e lo sviluppo della città. Di fronte a questo scenario, i due autori propongono “un modello di progettazione urbana alternativo e sottodeterminato, un city-making che per mezzo di “perturbazioni” (disruptions) sovverte le forme rigide, realizzando al loro posto progetti che migliorano la vita”. Il volume parte dal lavoro di Richard Sennett, "Usi del disordine" pubblicato nel 1970. In quell'opera rivoluzionaria, il sociologo sosteneva la tesi che una città densa e varia coinvolgesse le persone in un modo particolare e che l’ideale della metropoli pianificata e ordinata fosse imperfetto e pericoloso, producendo un ambiente fragile e limitante. I due autori rielaborano i concetti esposti nel testo di Sennett di cinquant'anni fa e li trasformano in esperimenti di progettazione urbana che li mettono in pratica; propongono il progetto per una "città aperta", flessibile, alternativa, in grado di modificarsi in base all'agire delle persone. “Una città vitale e aperta non è frutto del caso. È necessario che il disordine venga progettato”, si legge nel libro. Gli esperimenti di progettazione urbana esposti riguardano i luoghi in cui non si creano attività e interazioni sociali spontanee. Il libro “non propone strategie di progettazione per luoghi dove l’informalità e la socialità sono già presenti, bensì esplora quelle “perturbazioni” del design urbano che sarebbero in grado di smantellare ambienti eccessivamente rigidi. Architettura, politica, urbanistica e attivismo si combinano per dare sostanza alle “infrastrutture per il disordine”, come le definiscono gli autori, per permettere l'innovazione della comunità, dare forza alla città aperta, consentire alle persone di usare lo spazio in modi imprevedibili; per creare luoghi che alimentano piuttosto che soffocare, disposti al cambiamento piuttosto che all’immobilismo.
Un coffee table book che celebra l'haute couture Dior nelle creazioni di John Galliano. Lo stilista britannico, celebre sulla scena del fashion per la sua carica di innovazione e la sua visione di rottura nei confronti della realtà, ha reinventato l'arte e il ruolo dell'alta moda attraverso collezioni indimenticabili, sintesi di esuberante eccentricità, espressione di una bellezza non convenzionale. Galliano è entrato nella maison Dior nel 1996, come direttore artistico delle collezioni donna, per rimanerci fino al 2011. Le sue creazioni, che esprimono le influenze di culture eclettiche, arte, cinema e viaggi reali o immaginari, si combinano con l'heritage della maison fondata da Christian Dior per dare vita ad abiti dalle forme scultoree che sono diventate icone di stile e fanno parte della storia dell'alta moda. Ma Galliano, definito "master of the silhouette", è noto anche per le sue sfilate, teatrali e stravaganti, dense di ispirazioni storiche e riferimenti culturali, frutto di incredibile fantasia e inventiva, anche critica - come non ricordare lo show Haute Couture Primavera/Estate 2000 per Dior, una rappresentazione dei clochard di Parigi, che fece molto discutere - a conferma della sua arte sartoriale e del senso innato per lo spettacolo (nel suo curriculum vitae Galliano vanta tra le altre un'esperienza al National Theatre, dopo gli studi alla Central Saint Martins di Londra). Nel volume edito da Assouline, Andrew Bolton, curatore del Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York, ha selezionato gli abiti-simbolo più emblematici delle collezioni 1996-2011 di John Galliano per Dior. Oltre 300 immagini di Laziz Hamani, insieme agli scatti di Steven Meisel, Annie Leibovitz, Irving Penn o Paolo Roversi, raccontano il genio di Galliano, oggi direttore creativo di Maison Martin Margiela, per cui “la moda è prima di tutto l'arte del cambiamento”.
Non c'è una stagione da preferire: si ha sempre voglia di 'fuggire' in montagna. Qualsiasi siano il paesaggio e lo scenario della natura, tra vette maestose e ghiacciai innevati, boschi rigogliosi o verdi prati e pendii in fiore, per sciare, arrampicarsi o camminare, la montagna continua a essere una delle destinazioni più richieste, in particolare post pandemia. Ecco allora un piacevole volume che guida lungo la catena delle Alpi alla scoperta degli alloggi e delle sistemazioni più particolari e sorprendenti per alpinisti, sciatori, appassionati di trekking ed escursioni in montagna. Locande storiche, pensioni, ex monasteri dove ritrovare pace e solitudine, rifugi di montagna, chalet, palazzi, hotel di design ma anche un ostello della gioventù ricavato in un ex sanatorio, dislocati in Germania, Austria, Svizzera, Francia e Italia, sono le mete proposte, tra architetture alpine e d'antan, realizzazioni e interior design moderni e contemporanei. Dall'hotel Kranzbach vicino a Garmisch-Partenkirche, un castello inglese elegantemente ristrutturato, allo Schatzalp a Davos, in stile Art Nouveau, menzionato da Thomas Mann ne "La montagna incantata". Dal Refuge du Montenvers, sopra Chamonix, con la sua vista sulla Mer de Glace, il più grande ghiacciaio della Francia, alla Pensione Briol vicino a Barbiano, costruita nel 1928 in stile Bauhaus e ampliata nel 2021 con l'aggiunta di due edifici estremamente moderni, solo per citarne alcuni. Un ricco apparato iconografico correda la presentazione delle strutture e degli alloggi della catena alpina, con testi informativi sintetici e indicazioni pratiche su come raggiungerli.
Il tema della disparità di genere, sempre attuale, conduce a una riflessione sulla figura professionale delle donne nel mondo dell’architettura. Il volume fa riferimento alla rassegna che ha visto protagoniste grandi architette internazionali attraverso una selezione dei loro progetti, a cura di Laura Andreini come questo catalogo, presentata in occasione del ciclo di incontri "Il tavolo dell’architetto" al Museo Novecento di Firenze. “Classificare il mondo femminile in una categoria a sé stante non rischia di depauperarne il valore? Alla luce di una parità di genere, se appare superfluo dedicare una mostra agli uomini perché dedicarne una alle donne?” sono alcuni degli interrogativi alla radice dell'indagine di Andreini. A ognuna delle progettiste in mostra, Carmen Andriani, Sandy Attia, Cristina Celestino, Izaskun Chinchilla, Maria Claudia Clemente, Isotta Cortesi, Liz Diller, Lina Ghothmeh, Carla Juaçaba, Fuesanta Nieto, Simona Ottieri, Carme Pigem, Guendalina Salimei, Marella Santangelo, Maria Alessandra Segantini, Benedetta Tagliabue, Monica Tricario, Patricia Viel, Paola Viganò e Laura Andreini stessa, è dedicata una sezione espositiva che si apre con una riflessione personale sulla propria condizione femminile nel campo dell’architettura e sulle difficoltà riscontrate in carriera. I contributi ripresi nelle pagine del volume delineano un quadro estremamente eterogeneo riguardo al tema genere gap, sul quale vale la pena riflettere.
Mentre si moltiplicano le iniziative dedicate a Pier Paolo Pasolini, nel centenario della nascita ("PPP | 100 anni di Pasolini a Bologna" e "PPP100 – Roma Racconta Pasolini" a Roma), esce un nuovo libro di Dacia Maraini, amica del poeta, sceneggiatore, regista, scrittore e drammaturgo italiano, a lui vicina nella seconda parte della sua vita, che ne ripercorre i ricordi. Maraini sceglie la forma della corrispondenza per un racconto che segue il filo della memoria, tra esperienze artistiche e cinematografiche, idee e viaggi condivisi anche con Alberto Moravia e Maria Callas alla scoperta, in particolare, dell’Africa. Le lettere a Pier Paolo sono al di fuori del tempo, tutto sembra essere presente e vivo, il dialogo intimo e complice, l'affetto e la stima immutati. I sogni, in particolare, sono oggetto di molte lettere e diventano spazio di confronto. Le descrizioni oniriche fanno emergere i ricordi così come le riflessioni dell'autrice legate alla vita, al pensiero e al mistero della morte di Pasolini, mai sopite. Questo viaggio nella memoria, razionale e delicato come nello stile dell'autrice, delineando un ritratto diverso di questo protagonista della cultura del Novecento aiuta ad allargare lo sguardo sulla sua figura, con molte cose ancora da dire.
Il saggio si focalizza sul tema del progressivo evaporare dell'architettura partendo dalla convinzione, all''origine del testo,“che l’architettura viva essenzialmente nel ricordo del suo passato, senza essere determinante nel definire gli spazi abitativi promotori di comportamenti individuali e sociali, i cui assetti vengono decisi altrove”, scrive nella premessa Alberto Cuomo.
Guardando alle architetture realizzate e alle vaghezze degli scritti degli architetti, appare evidente il fatto che alla perdita dell’uso della mano (i disegni manuali di qualsiasi natura non riuscirebbero a rendere e controllare gli oggetti complessi progettati in 3D al computer) - intesa non tanto quanto mero strumento quanto essa stessa pensiero – e del pensare, quindi, corrisponda l’assenza di ogni domanda sul senso del progettare, riconosciuto talvolta in teorie obsolete o in estetiche incomprese utili a fare da schermo alla sostanziale assuefazione al mercato, sostiene l'autore. In un'analisi che va dal postmoderno al decostruzionismo, alla transarchitettura, e al relativismo delle odierne tendenze, il saggio sottolinea il progressivo svanire dell'architettura il cui corpo costruito appare essere il supporto di sensi e valori che lo nebulizzano in una sorta di sparizione tra il suo divenire merce di consumo e l’uso finanziario che lo distoglie dall’abitare.“È probabile allora, così come emerge dallo sfaldarsi della disciplina, nelle più diverse scuole, in molteplici specialismi, che, all’architettura, il cui sguardo non è più rivolto all’archè, non valga più il nome, così come alla città che, in ogni dove, non è più città”.