Lo studio realizzato in combinato dalla Venice International University (VIU), la Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), l'Università Ca' Foscari di Venezia e Fondazione Enel cita proprio il caso di Cortina con i problemi ''energivori'' legati anche alla produzione di occhiali (Longarone, Sedico, Agordo) combinati a quelli ambientali sulla carenza di neve
CORTINA. Neve bagnata, per le temperature sempre più elevate, e carenza energetica, se non si investirà su fonti rinnovabili, sono gli elementi che potrebbero portare a compromettere le stagioni invernali sulle piste delle Dolomiti già a partire dal 2036. Quattrodici anni che rappresentano il primo passo verso quella che da molti viene dipinta come la fine di un mondo, dello sci di massa e degli impianti di risalita, che nel 2050 potrebbe avere il suo compimento se non si cambierà e di molto.
A sostenerlo il rapporto ''Stato dei servizi climatici 2022'' dell'Organizzazione metereologica mondiale (Omm), che fa riferimento alle Nazioni Unite, strutturato proprio sul caso Bellunese (preso a punto di riferimento anche perché facilmente raffrontabile con i vicini territori del Trentino Alto Adige e più in generale delle Alpi) al quale si può aggiungere l'analisi The Winter Olympics and Winter Tourism in a Changing World pubblicato a inizio anno che chiariva come entro il 2050 non si potrà più sciare a Cortina d’Ampezzo e Torino, (QUI IL NOSTRO APPROFONDIMENTO) ma anche nelle vicina Austria a Innsbruck, Garmisch-Partenkirchen e a St. Moritz, in Svizzera se non verranno attuate azioni concrete per contrastare il cambiamento climatico.
Questo secondo studio spiegava che se le emissioni globali rimarranno sulla scia degli ultimi due decenni, entro la fine del secolo ci sarò soltanto Sapporo in Giappone come città che potrebbe innevarsi per ospitare i Giochi olimpici, rispetto alle 21 attuali. Ma l'analisi dell'Omm è ancor più dettagliata perché prende in considerazione proprio il caso di studio di Cortina realizzato in combinato dalla Venice International University (VIU), la Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), l'Università Ca' Foscari di Venezia e Fondazione Enel.
Lo scopo dello studio era mappare il rischio climatico futuro sulle nostre montagne utilizzando un metodo chiamato Serra (Socio-Economic Regional Risk Assessment). Qui non si prende, quindi, in esame solo l'aspetto climatico, che pure è molto impattante, ma anche i ''rischi'' socioeconomici tracciando una stima dei danni per le attività economiche. ''Aggregando le mappe di rischio storiche e future sull'intera provincia di Belluno - si legge nelle slide dello studio - abbiamo riscontrato un aumento fino al 6,2% del rischio climatico diretto (come l'innalzamento delle temperature) e fino al 10,2% del rischio climatico indiretto per eventi di neve umida nel periodo 2036-2065''.
''I risultati - prosegue lo studio - mostrano che alcune aree presentano combinazioni di più rischi multipli a livelli più alti, che dovrebbero essere considerati con attenzione nella pianificazione. È il caso delle aree chiave per la produzione di occhiali (Longarone, Sedico, Agordo) dove sono presenti anche rischi per gli sport invernali''. Per provare a preservare anche il business legato allo sci la fornitura di elettricità da fonti di energia pulita "deve raddoppiare entro i prossimi otto anni per limitare l'aumento della temperatura globale. Altrimenti - si legge - c'è il rischio che il cambiamento climatico, eventi meteorologici più estremi e stress idrico mettano a rischio la nostra sicurezza energetica e a repentaglio le forniture di energia rinnovabile".
Questo perché nel 2020, l'87% dell'elettricità globale generata da sistemi termici, nucleari e idroelettrici dipendeva direttamente dalla disponibilità di acqua, ma ora c'è il rischio di stress idrico. Tutto ciò che ruota attorno al mondo dello sci, poi, è altamente energivoro (si pensi agli impianti di risalita, ai sistemi di innevamento artificiale, alle notturne e la battitura delle piste). E la produzione energetica, oggi, è la fonte di circa tre quarti delle emissioni globali di gas serra. Per gli esperti gli investimenti nelle energie rinnovabili devono dunque "triplicare entro il 2050 per portare il mondo su una traiettoria di zero netto di emissioni di gas serra entro metà secolo".