Valentina Cervi chi è, film, vita privata

2022-10-15 15:59:01 By : Ms. Helen Yang

Trova utilissimi il palco di un teatro per trasformare le paure in show e il cinema per semplificarsi la vita. Ma, racconta l'attrice, è la cura - dell'amore, dei figli, dei passanti - a farla stare al mondo per qualcosa di sensato.

«Una volta non succedeva che le interviste si facessero tutte al telefono come adesso, e Skype è solo un po' meglio». Sarà che Valentina Cervi apprezza il nostro anacronistico Intercity tre ore ad andare e tre a tornare col riporto di due ritardi, fatto sta che si predispone alla generosità. Si è appena seduta sul divanetto del suo hotel a pochi passi dalla stazione di La Spezia, dove è arrivata anche lei col treno mezz'ora fa, per il La Spezia Estate Festival. A fianco di Anna Bonaiuto, porterà in scena Ida, la protagonista del romanzo Addio fantasmi di Nadia Terranova, che racconta di una figlia che ha un padre sparito da quando era piccola lasciando una voragine di non detto, di una madre che ha sempre alimentato quella voragine, e della vendita della casa di famiglia che smuove le acque. Fanny & Alexander (il duo incarnato da Luigi De Angelis per la regia e Chiara Lagani per la drammaturgia) hanno voluto lei per questa trasposizione che dopo le arene estive e il Teatro India a Roma (per l'unica serata del 18 settembre) partirà in tournée nel 2023. Se per amore di cronaca va detto, diciamolo subito per la centesima volta e non pensiamoci più. Valentina Cervi è nipote di Gino Cervi, al quale non servono presentazioni, e figlia di Tonino, regista ma soprattutto produttore di film culto come Boccaccio '70 o Deserto rosso di Antonioni oltre che di opere di Bertolucci, Rosi eccetera, e anche sua madre, Marina Gefter, è stata produttrice, e bla bla bla. In questo gran clangore di storia del cinema che da sempre la precede, Valentina arriva e resta subito soltanto lei. Una figura minuta e vibrante, una donna donna alla quale hai voglia di chiedere tutto, tranne faccende genealogico-biografiche. Ha la camicia bianca e gli occhiali da sole, ma dopo cinque minuti se li leva per inforcare quelli da vista e guardarti in faccia molto bene, per capire chi ha davanti. Cercare di capire chi hai davanti è una delle cose importanti da fare nella vita, dirà in effetti, tra molto altro, durante l'intervista.

Intanto perché si dovrebbe ancora andare a teatro? Perché ogni rappresentazione è unica e irripetibile, un valore per lo spettatore. E anche il pubblico è ogni sera diverso, un privilegio per l'attore. Il teatro è una maratona, il cinema sono i 100 metri che spesso edulcorano il senso, danno un'idea di un'idea di un'idea. Non è peggio, ma molto diverso sì. E poi sulla scena capitano gli imprevisti, che sono motore e sangue di uno spettacolo.

Ne capitano spesso di imprevisti? Oh, be', banalmente, eravamo a Gibellina in Sicilia, la settimana scorsa. Addio fantasmi è uno spettacolo che richiede molta preparazione tecnica, e a un certo punto è andato in tilt il sistema. Niente luci, niente suoni, niente di niente. Esistono gli angeli del teatro e il blackout è arrivato con un tempo perfetto, sembrava un colpo di scena, che il padre di Ida fosse finalmente arrivato. Mi sono detta: che meraviglia, ora devo gestire questo buio. Perché alla fine è ciò che cercano gli attori. Per quanta mania di controllo abbiano, è lo scompiglio a renderli vitali.

«I mentori non sono per forza gente illuminata, ma solo dei traghettatori. Magari sono quelli che ti creano problemi, che ti impediscono qualcosa e, per questo, ti fanno entrare in un nuovo spazio di te stesso»

Oddio, sta liquidando il cinema? Ma no, certo. In realtà anche la sala cinematografica mantiene una parte di questa chimica, prevede un pubblico che cambia sempre. È difficile che un film rimasto per me memorabile, l'abbia visto a casa. Mi ricordo da bambina quando andavo al Cinema dei Piccoli, e magari davano tutto Tarkovskij, eravamo in 15 in una saletta e c'era quel tipo di sacralità di cui sia il cinema che il teatro hanno bisogno. Poi la puoi dissacrare, ma solo se c'è. Certi set sono casuali, meccanici, e sai già che quello che ne uscirà sarà un prodotto. In altri, entri in un cerchio sacro, respiri l'atmosfera che richiede uno spazio di libertà e intuizione molto fragile, che poi lo spettatore assorbirà.

Lavorare con Anna Bonaiuto non ti ha fatto venire ansia da prestazione? Anna mi ha sempre folgorato, a teatro o sullo schermo, per il suo carisma scenico. Avere accanto un'attrice così forte, classica, piena di esperienza, che sapevo avrebbe visto le mie acerbità teatrali: è stata proprio questa la sfida a cui non sono riuscita a sottrarmi. Non farmi toccare dalla mia proiezione, nutrirmi delle mie paure per usarle in scena.

A Nadia Terranova piace lo spettacolo? È un lavoro molto diverso dal libro, i flussi di coscienza si trasformano in atti e lo spazio-tempo non viene rispettato. Eppure Nadia è la nostra più grande groupie, ci segue dappertutto, è venuta a Roma per la prova generale, a Ravenna per la prima. Non ha opposto nessuna resistenza, tanto che a un certo punto per il suo entusiasmo mi sono chiesta, ma ci è o ci fa, è tutto vero o poi, a un certo punto, inizierà a obiettare? Invece no. C'è molto amore, molta semplicità intorno a questo lavoro.

Di semplicità si sente molto il bisogno, vero? È nella nostra testa. Puoi diventare semplice anche in mezzo a conflitti terribili.

E come ci si riesce? A me è capitato di doverlo imparare dopo Ritratto di signora di Jane Campion. A 18 anni ero stata scelta, proprio io dopo non so quanti provini (per la parte di Pansy Osmond, ndr), da una regista culto della mia generazione, per recitare con Nicole Kidman. Jane mi ha fatto entrare dalla porta, è come mi avesse dato il permesso di fare l'attrice certificando che non era solo un sogno. Ma quando cominci così, poi dove vai? All'inizio pensi sia semplice, che ormai farai un film dopo l'altro, e invece iniziano i fermi e i freni e capisci che ci devi lavorare, l'istinto da solo non basta e per diventare un'attrice spendibile devi attingere a una parte di te più concreta. Coi tanti no che ho ricevuto, ho scardinato. Semplificato, appunto.

Un’attrice o un attore fondamentali per te? Fabrice Luchini durante le riprese di Rien sur Robert (di Pascal Bonitzer, le è valso una candidatura al César, ndr). Alla prima lettura andò dal regista e gli chiese indicandomi: ma chi è questa? Dovevo fare una ragazza un po' strana per cui lui perdeva la testa, e si immaginava un'attrice… Gli chiese ma sei sicuro? Poi si è lasciato affascinare, ha trovato il modo di farmi sentire un gigante, una tigre, e io ho tirato fuori il meglio di me. Un grande insegnante. Era riservatissimo, non abbiamo mai neanche cenato insieme, ma in scena era includente. Anche se i mentori non sono per forza gente illuminata, ma solo dei traghettatori. Magari sono quelli che ti creano dei problemi, che ti impediscono qualcosa e, per questo, ti fanno entrare in un nuovo spazio di te stesso in cui trovi nuove risorse.

E poi è arrivato Stefano Mordini. Cosa rappresenta, oltre a essere il tuo compagno e padre dei tuoi figli? Mi ha dato personaggi bellissimi e mi ha permesso di essere un po' più libera. Ma ora non potrei più farmi dirigere da lui in ruoli importanti come quello di Provincia meccanica (che li ha fatti conoscere, ndr). Durante la lavorazione gli parlavo, gli parlavo e lui mi ascoltava, mi ascoltava… Adesso è cattivissimo, guai se tardo un minuto al trucco. Ora, insieme, solo partecipazioni, come è stato per La scuola cattolica o Gli infedeli. Se potessi indicare un regista per lavorare, sceglierei lui ma senza conoscerlo.

Il problema è che lo ami? A che punto siete dell’amore? Non parliamo mai insieme di questo. Per quanto mi riguarda, sento che è successo un miracolo, che questo rapporto cresce ogni giorno di più. Siamo diventati l'uomo e la donna che siamo grazie uno all'altro. E questi bambini, arrivati in maniera così semplice (Margherita, 9 anni e Giovanni, 6, ndr). Quando ero sola, mi sembrava di non fare niente per gli altri. Invece se crescono le responsabilità affettive, ti sembra di stare al mondo per qualcosa di sensato.

«Non tutto è come appare e chi sembra il mostro magari non lo è. Siamo gregge, anche se non vogliamo. Per questo credo valga la pena muovere sempre la propria capacità di giudizio»

Non litigate mai? Proprio ultimamente stavamo per separarci! (Ride)

Cos’era successo? Un trasloco terribile. Abbiamo deciso di andare in una casa più grande ma con l'idea di fare i lavori in un secondo momento. Quindi poi, per fare entrare gli operai, siamo andati in affitto da un'altra parte. Nel frattempo mia madre si è ammalata di Alzheimer ed è partito il lockdown. Quindi ho fatto trasferire mia madre in casa con noi. Però i lavori dall’altra parte si erano arrestati per il lockdown mentre l'affitto della casa in cui vivevamo non era più disponibile. Ci siamo ritrovati a zonzo noi, i miei figli e mia madre. Sono scoppiati litigi mortali, come è immaginabile. Però di fondo guardavamo nella stessa direzione. Ho sentito Stefano vicino, mi ha sostenuto in questo delirio.

E con gli amici litighi? Hai voglia! Mi capita anche di essere aggressiva, prepotente. Per esempio adesso c'è questa amica che mi ha un po' ferito e ho evitato di vederla. Amici comuni mi hanno proposto di incontrarci, e ho risposto no. Ma poi mi sono detta, sono scema? È solo nella mia testa questa offesa. Lei ha fatto una cosa per una ragione o per l'altra, ma di sicuro non contro di me.

Non serbi mai rancore? Non mi è successo di essere stata ferita tante volte, non mi sono sentita nell'ingiustizia tante volte, ho sempre saputo combattere per la mia giustizia. Il torto non te lo può fare nessuno, sei tu che lo chiami torto invece di lasciarlo andare. In generale se qualcosa mi mette a disagio, lo dico subito, ed è una buona forma di prevenzione.

E in questo momento così complicato, tra ambiente, guerre e instabilità politica, come combatti la preoccupazione? Sai l'unica cosa che mi angoscia davvero? Che le cose non sono mai come sembrano, e non si può avere la lucidità di capire chi ci sta governando e quali siano le sue reali intenzioni. Non tutto è come appare e chi sembra il mostro magari non lo è. Siamo gregge, anche se non vogliamo. Per questo credo valga la pena muovere sempre la propria capacità di giudizio. Non dico cambiare per forza idea, ma almeno metterla alla prova. Cerco di agire sulle cose che ho intorno e di ascoltare la gente. Al bar, all'ospedale, dal giornalaio. Ognuno è proprio piccolo e deve provare a fare bene agli altri come può.